Intervista al Prof. Giovanni Ziccardi sulla violenza verbale in rete

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La diffusione di Internet ha reso possibile un dialogo ininterrotto, che si alimenta sui blog, sui forum, nelle chat, sui display degli smartphone, non sempre in modo civile.
All’interno di questo dialogo globale, sono approdate le espressioni di odio razziale e politico, le offese, i comportamenti ossessivi nei confronti di altre persone, le molestie, il bullismo e altre forme di violenza che sollevano la curiosità del giurista. Come è nato il concetto di hate speech? Anche odiare è un diritto e quali sono i limiti che pongono gli ordinamenti giuridici? È mutato il livello di tolleranza e sono cambiati irreversibilmente i toni della discussione? A queste domande ha risposto nella sua ultima opera letteraria: “L’odio online – Violenza verbale e ossessioni in rete“, Giovanni Ziccardi, Avvocato e Docente di Informatica Giuridica all’Università di Milano.
Relatore in diversi eventi, tra i quali l’International Journalism Festival di Perugia
A Conversazioni su Futuro, rassegna culturale e giornalistica della Capitale del Barocco: Lecce
Il Prof. Giovanni Ziccardi intervistato dalla collega Bianca Chiriatti, assieme ad Augusto Valeriani, ricercatore presso il dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Bologna e Antonio Sofi, autore di Gazebo – Rai 3.
Rete più social e meno regolamentata
L’evoluzione dei mezzi di comunicazione e il mutamento della rete sempre più social ma allo stesso tempo sempre meno regolamentata da principi condivisi, hanno fatto da cassa di risonanza a espressioni d’odio e scontri verbali sulla rete. Allo stesso tempo la confusione (volontaria?) degli utenti che percepiscono come proprio uno spazio pubblico sul quale postare immagini, frasi e pensieri volutamente finalizzati a offendere qualcuno o criticare qualcosa, fa sì che il web venga facilmente criminalizzato. In realtà, il dilagare dell’hate speech non è dovuto al contenitore – la rete – ma al contenuto in sé: l’aggressività è parte della natura umana, e come tale continuerà ad esprimersi.
Ad oggi, visto che internet è parte integrante delle nostre relazioni è inevitabile che l’odio trovi nei social network e nella rete più in generale, una valvola di sfogo.
Dunque, come arginare questo fenomeno?
L’inasprimento normativo non pare una soluzione efficace e porterebbe probabilmente ad una ingiusta limitazione della libertà di opinione. Quindi bisogna intervenire sull’educazione e sulla formazione del popolo digitale per rompere quell’equivalenza tra odio espresso senza filtri e in modo ingiustificato e il desiderio di ampliare la propria base di consenso costruita collezionando click di visualizzazioni. Il processo di educazione e formazione degli utenti della rete unito all’applicazione delle norme già esistenti – adeguate e sufficienti – appare l’unica strada da percorrere, a tutela di una libertà di espressione lontana dalle derive dell’hate speech.
Ho posto al Prof. Giovanni Ziccardi, 5 domande:
1)In che modo la tecnologia ha modificato la tendenza ad esprimere l’odio?
L’odio online ha evidenziato nuovi aspetti che sono strettamente correlati alla natura delle tecnologie. I due punti secondo me più evidenti sono l’amplificazione del danno e la persistenza del dato digitale. Il primo punto significa che non sempre vi è la percezione di quanto il mezzo digitale possa amplificare il danno. Oggi la potenza di diffusione è enorme. L’odio può circolare in tempi rapidissimi e su amplissima scala. Il secondo punto è che l’odio permane, ossia quando il dato digitale inizia a circolare, non può più essere rimosso. l’idea di un diritto all’oblio, da un punto di vista tecnico, è oggi inapplicabile.
2) L’aggressività online può essere definita una patologia?
Si tratta di un comportamento, correlato a un sentimento, e non ne esiste solo un tipo ma tantissimi tipi diversi. La cosa interessante è che l’odio è diventato comune, ossia nasce anche attorno a discussioni e temi che sulla carta non sembrano idonei a sollevare odio. Non più, quindi, legato a temi tradizionalmente “incendiari” quali razza, religione, politica, ma anche quotidiani.
3) In italia, quali sono gli strumenti giuridici per arginare questa tendenza negativa?
L’ideale è coniugare bene tre aspetti: la controparola ed educazione, il diritto e la tecnologia. L’educazione si fa nelle scuole e nelle famiglie, insegnando il dialogo pacato, la ricerca di verità e la controparola, ossia il contrapporre parole di pace a parole d’odio. Il diritto già sanziona gran parte dei comportamenti, soprattutto in caso di ingiuria, diffamazione, discriminazione. La tecnologia infine può essere usata per analizzare in maniera automatizzata le espressioni d’odio e cercare di contenerle, filtrarle o rimuoverle. Una buona commistione di questi tre approcci può portare grandi benefici anche in Italia
4) C’è una mancanza di educazione offline che si traduce in scostumatezza in rete o
carenza di formazione riguardante il corretto uso degli strumenti digitali? Mi riferisco ad esempio all’utilizzo improprio dei Social Network.
Sì, il lavoro sull’educazione civica digitale è molto importante da fare. Serve a far comprendere quale sia il modo migliore per operare in rete e per comportarsi con gli altri utenti, una sorta di “galateo” che può servire anche a limitare l’odio.
5) Come si possono tutelare le giovani generazioni, quindi i “Millennial” in merito ai deprecabili atti di bullismo online?
Innanzitutto cercando di spiegare loro la natura delle nuove tecnologie e le potenzialità connesse. Evidenziando, poi, i possibili rischi, spiegando anche come difendersi e come reagire. Infine, occorre operare sull’educazione in senso tradizionale, e non solo digitale. Le parole da utilizzare, l’educazione, la tutela dei più deboli.

Giornalista e professionista della comunicazione digitale. Ottimizzo in ottica SEO articoli e contenuti per siti aziendali, testate giornalistiche e blog. Sono esperto di Social Media Management, Content Marketing e Digital PR. La formazione continua mi permette di attuare strategie al passo con l’innovazione.