Italia: l’autostrada per il futuro è il digitale, senza se e senza ma

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Italia: l’autostrada per il futuro è il digitale, senza se e senza ma

L’Italia è al 25° posto in Europa nel DESI, l’indice di digitalizzazione per:

  1. Connettività
  2. Capitale Umano
  3. Uso di Internet
  4. Integrazione dei servizi digitali
  5. Servizi pubblici digitali

Digital economy and innovationTuttavia è al secondo posto per produzione manifatturiera. Un paradosso lampante perché attualmente, è sempre di più nel futuro, l’economia è, di fatto, soltanto digital economy.

Quale fine per l’economia tradizionale?

Questo non vuole dire che scompariranno le grandi e piccole imprese tradizionali, le quali hanno fatto la storia e la ricchezza dell’Italia, ma semplicemente che, se vogliono competere e vCloud networking in Italiaincere sui mercati globali, ad esempio con quello cinese,  queste aziende dovranno investire su ICT, software Cloud per eCommerce,  Content Marketing e Social Network. Se la vostra azienda  produce cacciaviti, chiodi  e martelli l’unico modo per uscire da mercato glocale e dal business offline (in perdita) è quello di includere il dipartimento digital per la parte Marketing e digitalizzare la produzione.

In Cina  il 45% degli acquisti del lusso avviene ormai tramite digitale,le nostre automobili e i nostri frigoriferi devono interfacciarsi con lo smartphone, il Marketing si fa sui social. Perché ormai non esistono più le industrie per settori, quella di prodotto e quella di servizi, ma solo una unica industria interconnessa, nella quale il digitale diventa fattore trasversale abilitante dell’economia e allo stesso tempo una economia di per se.

L’enorme potenziale inespresso dell’Italia

Le nostre imprese fanno già molto e il nostro sistema produttivo ha un capitale economico e industriale incredibile.

  • 500 miliardi di export conquistati euro su euro,
  • un brand Made in Italy che è il terzo al mondo,
  • 6.819 start up innovative che danno lavoro a 36 mila persone.

Ma sul digitale possiamo fare certamente di più, perché solo 40 mila PMI vendono online contro le 200 mila in Francia e il fatturato eCommerce incide per il 9% sui ricavi contro il 17%  della media UE.

C’è uno squilibrio, allora, fra questo 25°e questo 2° posto e il mercato non tollera grandi oscillazioni: ma sta a noi scegliere se riaggiustarlo. Il rischio è quello di scendere sotto Francia e Spagna nella classifica della manifattura, o, invece,  scalare posizioni nella digitalizzazione.

Se la risposta giusta è la seconda, per quel che mi riguarda  l’unica risposta plausibile,  dobbiamo cogliere la sfida dell’Industria 4.0, che vale 4 punti di PIL per i prossimi tre anni, in quanto la digitalizzazione dei prodotti e dei servizi potrebbe aumentare le entrate delle imprese di 110 miliardi nei prossimi cinque e la sharing economy da sola potrebbe far passare gli introiti globali dagli attuali 13 miliardi a 300 nel 2025.

Digital work: opportunità e produttività

Il digital work in Italia

Opportunità non solo per chi produce ma anche per chi lavora: se per McKinsey il 50% dell’occupazione  corre il rischio di essere sostituita da sistemi automatizzati entro il 2055, possiamo subire il problema scegliendo di tassare i robot come proposto da Bill Gates o possiamo gestirlo creando, invece, le migliori condizioni perché possano nascere anche in Italia nuovi posti di lavoro ad alto valore aggiunto.

L’automatizzazione, infatti, aumenterà la produttività globale di 1,4% l’anno. I consumatori avranno prodotti meno cari e in tempi più veloci, perché si dimezzerà il time to market, i tempi di fermo macchine e i costi di manutenzione. Più produzione, più domanda, più lavoro.  Allora la tecnologia distrugge o crea posti di lavoro? La risposta è nessuno dei due: la tecnologia li redistribuisce.

Italia: gap formativo, clientelismo e raccomandazioni producono solo costi

Attualmente il 22% delle posizioni digitali aperte in Italia non trova candidati idonei. Secondo PwC serviranno quasi 1 milione di professionisti nel campo delle KET entro 7 anni.

Cosa sono le Ket?

Le Key enabling technologies sono delle tecnologie individuate dalla Commissione Europea caratterizzate da investimenti importanti per la fase di ricerca e sviluppo, a cicli di innovazione rapida e da posti di lavoro altamente qualificati. Sono molto importanti perché aumentano il valore della catena di produzione e hanno la capacità di innovare i processi di produzione, semplificando le procedure e diminuendo i costi. Un prodotto basato su una Ket accresce il valore sociale del bene o del servizio prodotto.

Perché investire nello sviluppo delle Ket?

All’interno del documento redatto per il programma Horizon 2020, la Commissione europea sottolinea l’importanza degli investimenti nella ricerca scientifica delle tecnologie abilitanti fondamentali per il cambiamento che apporteranno nei prossimi 5-10 anni all’interno del mondo della produzione, creando nuovi servizi e migliorando quelli esistenti. I paesi che sapranno avvalersi di queste tecnologie potranno produrre beni a basso impatto ambientale, garantendo benessere, prosperità e sicurezza ai propri cittadini.

Previsioni poco positive, allora rimbocchiamoci le maniche e diamoci da fare

La Commissione europea ha stimato che in Europa fra 3 anni ci saranno 500mila posti di lavoro scoperti fra esperti digitali.  E se il mercato avrà bisogno di data analyst, e-reputation manager e sviluppatori mobile, dovremo essere capaci di formare le competenze tecniche e le soft skill di chi già lavora e di quel 60% di ragazzi che oggi studia per fare un lavoro che ancora non esiste.

Cambia tutto e noi dobbiamo sbrigarci: oggi secondo l’Istat ben 22 milioni di italiani non hanno mai avuto a che fare con internet e il 50% della forza lavoro ha zero o scarse capacità informatiche. Sono limitate anche le competenze digitali all’interno delle imprese: solo 17 aziende su 100 impiegano addetti ICT in azienda e solo 12 offrono formazione informatica.

Qualcosa però sta cambiando, anche in Italia:

  • la buona scuola con i corsi di coding
  • l’alternanza scuola-lavoro
  •  un piano Industria 4.0 che prevede di creare 1.400 dottori di ricerca, 200mila studenti universitari e 3mila Manager specializzati su temi 4.0.

La nostra sfida è fare del capitale umano la nostra vera materia prima.  Insomma c’è una industria forte e tradizionale che se però non sa cogliere le opportunità del digitale rischia il declino, ma se riesce a cogliere queste opportunità può essere ancora più forte e in crescita:

  1. Dove vogliamo stare?
  2.  La vostra azienda è presente sul web?
  3. La sapete raccontare?

“Affidati a chi delle competenze: Content Marketing is king!!! Contattami per una consulenza

Sta a noi scegliere quale risposta dare. Sta a noi decidere il cambiamento.  Come quello che abbiamo visto al FED – Forum dell’economia digitale – l’evento organizzato da Giovani Imprenditori di Confindustria e Facebook Italia il 22 marzo a Milano. Un’occasione di confronto su economia digitale, posti di lavoro e robot, competenze e comunicazione. L’intervento di Marco Gay, Presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria è stato molto perentorio: «bisogna fare una rivoluzione che unisca manifattura e digitale, imprenditori e politica». 

Confidustria giovani in Italia

Per gli oltre 4500 iscritti all’evento e per chi era collegato in streaming e per chi non c’era, il FED vuole porsi come community del cambiamento, per fare dell’Italia la prima factory digitale del mondo, dunque... carpe diem!!!

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